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Leggi anche il commento e la tavola dei libri apocrifi, denominati anche deuterocanonici, di Giovanni Diodati del 1607.

I Libri Apocrifi e i libri Canonici della Sacra Bibbia.

Crediamo pregio dell’ opera parlare alquanto, sebbene con tutta la possibile brevità, sui libri canonici ed i libri apocrifi della Bibbia.

Una delle più gravi accuse che i preti fanno ai Protestanti intorno alla Bibbia consiste in questo: essi dicono che i Protestanti hanno tolti dalla Bibbia molti libri che non gli faceva comodo che vi fossero. Una tale accusa è assai grave, e merita di essere esaminata.

Premettiamo che l’ accusa cade sopra alcuni libri del Vecchio Testamento: in quanto al Nuovo Testamento, tanto i Cattolici quanto i Protestanti ammettono gli stessi libri.

Nell’ Antico Testamento i Cattolici romani, oltre i libri ammessi dai Protestanti, ammettono i libri di Tobia, di Giuditta, della Sapienza, dell’ Ecclesiastico, di Baruc, e due libri dei Maccabei. Oltre a ciò, ammettono alcune aggiunte al libro di Ester e alcune aggiunte al libro di Daniele. I Cattolici ammettono questi libri perciò il Concilio di Trento nella sessione quarta li ha dichiarati canonici, ed ha fulminato l’ anatema contro chi non li ammettesse come tali.

I Protestanti non possono riconoscere come canonici quei libri dichiarati tali dal Concilio di Trento per varie ragioni: primo, perché essi non credono che il Concilio di Trento avesse potuto dichiarare quei libri canonici; secondo, perché essi credono che la Bibbia si opponga alla canonicità di quei libri; terzo, perché essi sostengono che nella Bibbia del Vecchio Testamento non ci possono essere altri libri canonici che quelli riconosciuti come tali dagli Ebrei; quarto, perché non trovano mai citata nel Nuovo Testamento l’ autorità di quei libri; quinto, perché la primitiva Chiesa non li ha mai riconosciuti per canonici; sesto, perché sono pieni di errori. Se queste cose fossero vere, se i Protestanti potessero provarle, certo avrebbero ragione di non ammettere come canonici quei libri, ed avrebbero torto i preti nell’ accusarli di aver mutilata la Bibbia; imperocchè se le cose che dicono fossero vere, non sarebbe falsa la Bibbia dei Protestanti per mutilazione, ma sarebbe falsa la Bibbia dei Cattolici per aggiunta. Indicheremo brevemente le ragioni che adducono i Protestanti in prova delle loro asserzioni, lasciando giudicare ai nostri lettori da qual parte stia la ragione.

Essi dicono dunque che il Concilio di Trento non avea diritto di dichiarare canonici quei libri. E qui bisogna osservare che proposizione è generalissima, e che per essa i Protestanti intendono che il Concilio di Trento non avea diritto di imporre neppure ai Cattolici quella credenza.

Difatti la canonicità di un libro è un fatto; libro canonico è quello il quale è stato sempre nel catalogo della S. Scrittura, chiamato con voce greca canone, ossia regola: ora dichiarare un libro canonico significa dichiarare il fatto che quel libro è stato sempre nel canone. La decisione dunque della canonicità di uno o più libri non è una decisione di dogma, ma è la decisione di un fatto.

Ora tutti i teologi romani convengono che il Concilio non è infallibile nella decisione dei fatti, imperocchè essa dipende dell’esame dei testimoni.

E, per venire al nostro fatto particolare, su quali testimonianze il Concilio di Trento ha potuto basare il fatto della canonicità di quei libri? Essi erano stati scritti venti secoli prima di quel Concilio, e per venti secoli gli Ebrei e per quindici secoli i Cristiani aveano testimoniato contro la canonicità di essi; come dunque poteva il Concilio dichiararli canonici con venti secoli di testimonianze contrarie?

È poi un fatto che il Concilio di Trento nella sessione quarta, quando dichiarò canonici quei libri era composto di quarantotto vescovi e cinque cardinali, ed i Protestanti non capiscono come cinquantatre persone potessero rappresentare tutta quanta la Chiesa universale; quindi non ammettono quel decreto: primo, perchè è un decreto riguardante un fatto negato costantemente per venti secoli; secondo, perché, quand’ anche la Chiesa universale avesse potuto decidere quel fatto, cinquantatre persone non potevano rappresentare la Chiesa universale.

La seconda ragione dei Protestanti, per non ammettere quei libri come canonici, è che essi credono che la Bibbia stessa si opponga alla canonicità di quei libri: e per provare questa opposizione citano due prove, una negativa, l’ altra positiva.

La prova negativa la deducono dal silenzio di Gesù Cristo e degli Apostoli. È un fatto sul quale non cade il più piccolo dubbio, che ai tempi di Gesù Cristo e degli Apostoli quei libri non erano nel canone degli Ebrei: da ciò si deduce, o che la Sinagoga non li aveva mai riconosciuti come tali, o che, se li aveva riconosciuti per un tempo, allora li avea tolti dal canone; ma nell’ uno e nell’ altro caso gli Ebrei sarebbero stati rei. Ma Gesù Cristo e gli Apostoli che su tante cose di minore importanza hanno rimproverato i Giudei, perché non li avrebbero rimproverati del gravissimo delitto di non riconoscere in quei libri la Parola di Dio? O quei libri non erano mai stati nel canone, ed allora Gesù Cristo e gli Apostoli, col loro silenzio, han dicharata la non canonicità di essi: o vi erano prima, e i Giudei allora li avean tolti; ed allora come si spiega il silenzio di Gesù Cristo e degli Apostoli su tanto delitto?

La prova positiva che dicono i Protestanti trovarsi nella Bibbia contro la canonicità di quei libri è una dichiarazione dell’ apostolo S. Paolo nel cap. III della lettera ai Romani, ove dice che gli Ora coli di Dio sono stati confidati ai Giudei. Ora se gli Oracoli di Dio sono stati confidati ai Giudei, ne segue che saranno Oracoli di Dio soltanto quei libri che sono stati confidati ai Giudei: dunque nessuno di quei libri che i Giudei non riconoscevano come Parola di Dio, sono Oracoli di Dio: ma i libri dichiarati canonici dal Concilio di Trento che i Protestanti non vogliono ammettere come canonici non erano ricevuti dai Giudei come Oracoli di Dio: dunque, dicono i Protestanti, la Bibbia esclude positivamente dal canone quei libri.

Questo ci porta naturalmente ad esporre la terza ragione dei Protestanti per non riconoscere come canonici quei libri, perché cioè gli Ebrei non avevano mai riconosciuti quei libri come tali. Notiamo che la questione cade soltanto sopra alcuni libri dell’ Antico Testamento: la testimonianza dunque de’ Giudei, ai quali furono confidati gli Oracoli di Dio, è l’ unica testimonianza valevole in tale questione; essi soli sono i testimoni competenti di quel fatto. Sentiamo dunque la testimonianza dei Giudei.

Giuseppe, lo storico che fioriva nel primo secolo della Chiesa, nella sua risposta ad Appione lib. I, dice così: “Nulla vi può essere di più certo quanto i libri autorizzati fra noi: essi non possono essere soggetti a contestazione alcuna, imperocchè non sono stati approvati se non che quelli scritti dai profeti da più secoli in qua, secondo la pura verità, per la ispirazione e il movimento dello Spirito di Dio.” Continua poscia Giuseppe, e numera tutti i libri che gli Ebrei ritenevano ed avean sempre ritenuti per sacri e canonici, i quali libri sono appunto quelli che tuttora ritengono gli Ebrei ed i Protestanti nelle loro Bibbie. Parla poi Giuseppe di quegli altri libri non canonici, e che il Concilio di Trento ha poi creduto doverli dichiarare canonici; e di quei libri parla così: “È stato anche scritto ciò che è avvenuto da Artaserse fino a noi; ma siccome non vi è stata più come vi era prima la catena de’ profeti, così non si è data a quei libri la medesima fede che si è data ai primi di cui ho parlato.” La testimonianza di Giuseppe è di un gran peso, ma vi è anche una testimonianza maggiore, una testimonianza vivente, che da più di trenta secoli depone contro la canonicità di quei libri.

La nazione giudaica tutta intiera, alla quale gli Oracoli di Dio sono stati confidati, ha deposto e depone contro la canonicità di quei libri. È un fatto incontestabile che gli Ebrei de’ nostri giorni hanno la stessa Bibbia che aveano gli antichi Ebrei, ma nella Bibbia degli Ebrei non vi è neppure un versetto di quei libri dal Concilio di Trento dichiarati canonici. Ora, incominciando dai profeti, o venendo giù a Gesù Cristo, agli Apostoli, e poi dando una scorsa a tutti i secoli della Chiesa, non si trova mai nè un papa, nè un Concilio, nè un solo teologo serio accusare gli Ebrei di aver tolti dal loro canone quei libri: dunque quei libri non sono mai stati nel loro canone, dunque non sono mai stati canonici, dunque il Concilio di Trento ha errato quando li ha dichiarati tali, dunque la Bibbia dei Protestanti non è mutilata, ma piuttosto quella dei Cattolici è interpolata.

Quest’ argomento è sembrato di tanta forza non solo ai Protestanti,  ma anche al celebre cardinale Gaetano, l’ uomo mandato da Leone X suo legato nella Germania, per confutare e convincere Martin Lutero, che nel suo Commentario sulla lettera ai Romani, ne fa un argomento il più forte contro la canonicità di quei libri. Ecco le sue parole che traduciamo letteralmente: “Tutti i Cristiani ricevono un doppio beneficio dall’ apostasia e dall’ ostinazione degli Ebrei: uno di sapere quali sieno i veri libri dell’ Antico Testamento, imperocchè se tutti gli Ebrei si fossero convertiti alla fede di Gesù Cristo, allora il mondo avrebbe sospettato che i Giudei avessero inventate tutte le promesse intorno a Gesù Cristo il Messia; ma i Giudei, persistendo ad essere i nemici di Gesù Cristo, ci rendono testimonianza che non vi sono altri libri canonici fuori di quelli che essi stessi hanno come canonici riconosciuti.” I Protestanti non dicono nè più nè meno di quello che dice il cardinale Gaetano su questo punto: ora perchè egli morì cardinale, gode ancora la stima di gran teologo, i suoi libri non sono posti all’ Indice; ed i Protestanti che dicono le stesse cose sono condannati, scomunicati!

Lo stesso cardinale, nel suo Commentario sul libro di Ester, parla più chiaramente contro la canonicità di quei libri dichiarati canonici dal Concilio di Trento ecco le sue parole: “Gli altri libri, cioè di Giuditta, di Tobia e dei Maccabei, sono posti da S. Girolamo fuori del canone, e collocati fra gli apocrifi in un col libro della Sapienza e dell’ Ecclesiastico, come apparisce dal suo prologo detto Galeato. Nè tu, o lettore poco esperto nella sacra scienza, devi turbarti se in qualche luogo troverai questi libri collocati fra i canonici, o da qualche Concilio, o da qualche teologo; imperocchè tanto le parole di quei Concili, come di quei teologi, debbono essere ridotte al senso di Girolamo, e, secondo il suo sentimento espresso ai vescovi Cromazio ed Eliodoro, tanto questi quanto altri libri somiglianti che si volessero porre nel canone della Bibbia, non sono canonici, cioè regolari, nè idonei a confermare i dogmi della fede. Possono però chiamarsi canonici nel senso che servono di edificazione ai fedeli, e come tali soltanto ricevuti ed autorizzati nel canone della Bibbia. Con tale distinzione potrai ben comprendere quello che dice S. Agostino nel lib. II della Dottrina cristiana, il decreto del Concilio Fiorentino sotto Eugenio IV, gli altri scritti dei Concilii provinciali di Cartagine e di Laodicea, e i decreti dei papi Innocenzio e Gelasio.” Gli Anglicani nella loro professione di fede usano le stesse parole del cardinale Gaetano intorno ai libri apocrifi, e la Chiesa romana li chiama eretici.

La quarta ragione dei Protestanti, per escludere dal canone quei libri, è tolta da un fatto, ed che Gesù Cristo e gli Apostoli han citato nel Nuovo Testamento passi presi da tutti quanti i libri canonici del Vecchio Testamento, e non han citato neppure un passo di quei libri che gli Ebrei tenevano per apocrifi, e che il Concilio di Trento ha dichiarati canonici. Conveniamo che questa è una ragione negativa che da sè sola non proverebbe gran cosa ma unita alle altre ha anch’ essa il suo valore.

La quinta ragione dei Protestanti è la testimonianza dell’ antica Chiesa, la quale non ha mai ammessi come canonici quei libri.

Melitone vescovo di Sardica, scrittore del secondo secolo della Chiesa, è il primo fra gli scrittori ecclesiastici che abbia dato un Catalogo dei libri canonici: ebbene dal catalogo di Melitone si rileva che la Chiesa del secondo secolo non riteneva per canonici che quei libri dell’ Attico Testamento che erano nel canone degli Ebrei: il catalogo di Melitone, ossia quello della Chiesa del secondo secolo, è simile al catalogo dei Protestanti, cioè mancano in esso tutti quei libri dichiarati canonici dai cinquantatrè di Trento.

Alcuni teologi pretendono trovare nel catalogo di Melitone il libro della Sapienza, che i Protestanti escludono dal canone; ma i Protestanti rispondono che ciò non è punto vero, o che l’ asserzione di quei teologi è un appiglio curialesco per ingannare i semplici; difatti citano il catalogo di Melitone come si trova nel lib. VI capo 24 della Storia Ecclesiastica di Eusebio, nel quale si vede che il preteso libro della Sapienza non è altro che il libro de’ Proverbi di Salomone. L’equivoco si vuol far nascere da un h che si vuole interpretare per articolo, mentre non è se non che una particella disgiuntiva: ecco le parole di Melitone: SalomonoV paroimia h sofia, parole che il traduttore latino di Eusebio ha rese giustamente così: Salomonis proverbia vel sapientia: i proverbi, ovvero la sapienza di Salomone.

Che la h debba essere tradotta in quel luogo per la particella disgiuntiva ovvero, e non per articolo, apparisce chiaramente dal non avere mai Melitone usato l’ articolo per indicare i libri in tutto quel catalogo.

Il Concilio di Laodicea verso la metà del quarto secolo, nel canone 59, che è l’ ultimo, tesse il catalogo dei libri canonici del Vecchio Testamento perfettamente eguale al catalogo degli Ebrei e dei Protestanti, non mettendo punto nel canone quei libri che vi ha posti il Concilio di Trento. Gli atti del Concilio di Laodicea furono approvati circa la metà del settimo secolo dal Concilio Costantinopolitano VI generale, quindi bisogna dire o che hanno errato i cinquantatrè infallibili di Trento, o che ha errato l’ infallibile Concilio generale VI.

I Protestanti citano molti antichi SS. Padri che escludono la canonicità di quei libri. Citano per esempio i cataloghi delle Scritture di Origene, di S. Ilario, di S. Gregorio Nazianzeno e di Eusebio, che escludono dal canone quei libri. Ruffino nella esposizione del Simbolo, dopo di avere numerati i libri canonici dell’Antico Testamento come sono nelle Bibbie protestanti, dice così: “È da sapersi che vi sono ancora altri libri, che i nostri maggiori non hanno mai chiamati canonici, ma solo ecclesiastici; siccome la Sapienza, l’ Ecclesiastico, Tobia, Giuditta ed i Libri dei Maccabei, quali libri han voluto che si leggessero nella Chiesa, ma non già che si mettessero innanzi per confermare l’autorità della fede.” Nello stesso senso parlano S. Atanasio nel suo libro chiamato Synopsis e S. Gregorio Magno nei Commentari sopra Giobbe. Quest’ ultimo padre, citando un passo tolto dal libro dei Maccabei, avverte che egli cita “un libro non canonico, ma scritto unicamente per la edificazione.”

Citano poi i Protestanti S. Girolamo, il quale, specialmente nel suo Prologo galeato, esclude dal canone tutti i libri dichiarati canonici dal Concilio di Trento. Non citiamo i passi di S. Girolamo, perchè parte sono citati nel testo, gli altri sono alla portata di tutti, essendo il Prologo galeato stampato in tutte le buone Bibbie della Chiesa romana. Dalle quali cose i Protestanti conchiudono, che essi intorno alla canonicità di quei libri sono d’accordo con gli Ebrei, con la Bibbia, con la Chiesa antica e coi padri, e che quindi è falsa e calunniosa l’accusa che si dà loro di avere mutilata la Bibbia.

Finalmente la sesta ragione che i Protestanti adducono per non ammettere la canonicità di quei libri consiste negli errori e nella falsità di cui essi son pieni. Noi non faremo che indicarne alcuni pochi, rimandando coloro che desiderassero vederli tutti al dottissimo libro delle dispute teologiche di Federico Spanheim.

I Protestanti ritengono per canonico il libro di Ester, come lo ritengono gli Ebrei, cioè fino ai vers. 3 del capo X. I Cattolici romani, in grazia del decreto dei cinquantatrè di Trento, ritengono per canoniche le aggiunte che sono state fatte a quel libro fino a tutto il capo XVI. Ma la Bibbia romana, che noi abbiamo sott’ occhio, dopo il versetto 3 del capo X, ove finisce il libro canonico, ha un avvertimento in corsivo, che in una nota marginale impariamo essere di S. Girolamo, nel quale dice che tutto quel che segue fino alla fine del libro non si trova nei codici ebrei. Questa confessione basterebbe per dichiarare apocrife quelle aggiunte. Ma notiamo alcuni orrori dei più madornali che sono in esse.

Nel capo XVI, secondo la Volgata, si ricorda una lettera di Assuero, chiamato Artaserse, diretta alle centoventisette provincie del suo regno; al versetto 10, si legge come Amanno fosse Macedone per discendenza e generazione, e che perciò voleva trasferire la monarchia Persiana ai Macedoni. Ora quest’ asserzione è un’ evidente falsità. A convincerci di ciò usiamo l’ argomento chiamato dagli antichi dialettici ab absurdo, vale a dire concediamo il fatto per vedere le assurdità che ne verrebbero. Se fosse vero che Amanno pensava di trasferire la vastissima monarchia Persiana, composta di centoventisette provincie, alla monarchia Macedone, bisognerebbe ammettere che in quei tempi la potenza dei Macedoni fosse stata tale da potere assorbire il vasto impero Persiano. Amanno era un grande politico, un uomo di Stato, il primo ministro della monarchia Persiana; ma che diremmo se ci si volesse far credere che un ministro dell’impero Francese, per esempio, ci si dicesse che cospira per fare assorbire la monarchia Francese dal Belgio? Chi non affatto digiuno di storia sa che i Macedoni furono un popolo oscurissimo e miserabile fino al regno di Filippo padre di Alessandro, anzi solo nell’ anno 21 del regno di Filippo la potenza dei Macedoni incominciò ad ingrandire (V. Giustin. Hist. lib. VI e Diod. Sicul. lib. XVI). Ma l’ anno 21 di Filippo era l’ anno 23 di Artaserse Ochio (Euseb. Cron.), cioè sul declinare dell’ impero Persiano; quindi se si dovesse ammettere la canonicità del capo XVI, bisognerebbe ammettere che l’istoria di Ester è accaduta dopo l’anno 23 di Artaserse Ochio, e che l’ Assuero di Ester chiamato Artaserse sarebbe stato Artaserse Ochio. Ma questo è in contradizione col vers. 7 del cap. III del libro di Ester, ove è detto che la storia di Ester avvenne precisamente nel primo mese dell’ anno duodecimo di Assuero; dunque il cap. XVI aggiunto è in contradizione col cap. III canonico.

Ma ciò non basta. Ammettiamo come canonico il cap. XVI, e bisognerà che si convenga che il fatto di Ester accadde sul finire della monarchia Persiana; ed allora troveremo delle contradizioni insolubili fra i capitoli dichiarati canonici dai cinquantatrè di Trento e i capitoli anteriori. Noi leggiamo difatti nel versetto 6 del cap. II, che Mardocheo “era stato menato in cattività da Gerusalemme  fra i prigioni che furono menati in cattività, con Jeconia re di Giuda che Nebucadnesar re di Babilonia aveva menati in cattività.” L’ autore dei capitoli aggiunti dice la stessa cosa nel vers. 4 del cap. XI; dal principio della cattività di Babilonia fino a Ciro trascorsero 70 anni, da Ciro alla fine del regno di Artaserse Ochio, quando i Macedoni cominciavano ad ingrandirsi, passarono 220 anni. Supponiamo che Mardocheo fosse stato condotto in cattività nella tenera età di dieci anni, pure avrebbe avuto quando accadde il fatto di Ester 300 anni. Ed Ester? essa era figlia dello zio di Mardocheo; ma supponiamo che codesto zio non fosse stato più vecchio del nipote, e che avesse avuta quella figlia nella decrepita età di ottanta anni; quando accadde la storia, secondo l’ autore dei capitoli apocrifi, essa avrebbe avuto 220 anni, ed in quell’ età avrebbe innamorato di sè il più possente monarca della terra. Ma i cinquantatrè di Trento, sicuri della loro infallibilità, non ragionavano, non riflettevano, non guardavano a queste enormi contradizioni.

È tale la forza di questo raziocinio, che i teologi romani, per di fendere il decreto dei cinquantatrè, non si vergognano di far mentire Iddio nei capitoli di quel libro riconosciuti da tutti per canonici. Difatti essi, non potendo negare che Mardocheo fosse stato condotto in schiavitù con Jeconia, e non potendo diminuire il calcolo degli anni, ricorrono ad un sotterfugio, e dicono che quando la Parola di Dio dice che Mardocheo era stato menato in schiavitù con Jeconia, non si deve intendere in persona, ma nei suoi antenati; ciò vorrebbe dire che Mardocheo sarebbe andato in Babilonia, e sarebbe stato schiavo molti anni prima della sua esistenza. Con simile logica si potrebbe dire che i Romani attuali sono padroni di tutto il mondo, perchè i loro antenati lo furono un tempo.

Nel cap. v canonico è detto come Ester si presentasse al re, che il re appena la vide stese il suo scettro, ed Ester avvicinandosi lo baciò, che il re con molto amore le disse: “Domanda ciò che vuoi fosse la metà del mio regno;” ma nel cap. XV, dichiarato autentico dai cinquantatrè, questo medesimo fatto è riportato in un modo tutto affatto contrario, è detto che il re appena la vide arse di sdegno, che Ester ne fu talmente spaventata che cadde priva di sensi. Se questi due capitoli sono ambedue canonici, Dio si contradirebbe nella sua Parola.

Passiamo ora ad esaminare di volo le aggiunte al libro di Daniele dichiarate canoniche dai cinquantatrè. Nel cap. III di Daniele, dopo il vers. 23, sono stati nelle Bibbie romane aggiunti 68 versetti che i cinquantatrè dichiararono canonici. Nella Bibbia romana che abbiamo sott’ occhio, dopo il versetto 23, vi è un’ annotazione di S. Girolamo, in corsivo, che dice quei 68 versetti non trovarsi nell’ originale ebraico, ma che sono nell’edizione di Teodozione. Origene osserva che codesto Teodozione da Cristiano era divenuto Giudeo, e che nella traduzione che avea fatta della Bibbia avea tolto ed aggiunto a suo piacere.

Dalla stessa edizione di Teodozione sono presi i capitoli XIII e XIV di Daniele che mancano nell’originale ebraico. S. Girolamo nella sua prefazione sopra Daniele, dopo aver confessato che nei codici ebraici non si trova nè il cantico dei tre Fanciulli, nè l’ istoria di Susanna, dichiara poi assolutamente essere favole le istorie di Belo e del Dragone, che i cinquantatrè dichiarano essere parola di Dio.

Due soli errori noteremo come per saggio nei capitoli aggiunti di Daniele: il primo è un anacronismo, il secondo una favola senza verisimiglianza. Si dice nel vers. 45 del cap. XIII che Daniele era giovanissimo, puer jounior, quando accadde la storia di Susanna; ma nel cap. VI è detto che Daniele era non solo uno dei tre principi costituiti da Dario sopra i 120 satrapi, ma che era il maggiore di essi: se dunque nel cap. VI era già uomo maturo, come nel cap. XIII torna a diventare giovanissimo?

Il cardinale Bellarmino per sciogliere una tale difficoltà dice che il libro di Daniele non è scritto per ordine cronologico, e perciò può benissimo accadere che nel cap. XIII si racconti un fatto avvenuto nella giovinezza di Daniele. I Protestanti domandano al cardinale Bellarmino su quali dati egli possa asserire tal cosa. Ma posto che ciò fosse, la menzogna di quel fatto è scoperta dall’ autore stesso del cap. XIII. L’autore di quel capitolo dice che la istoria di Susanna accadde poco prima della morte del re Astiage. Ad Astiage successe immediatamente Ciro, il quale fece cessare nel primo anno del suo regno la schiavitù degli Ebrei che era durata settanta anni. Daniele era stato da fanciullo trasportato con gli altri da Gerusalemme in Babilonia; alla morte di Astiage dunque doveva avere ottant’ anni, come dunque era un fanciullo giovanissimo?

L’ altro errore è una favola senza verosimiglianza, anzi un ammasso di favole, così malamente combinate da far disonore all’ infimo fra gli scrittori. Come difatti si può credere che un pugno di schiavi nella possente monarchia Babilonese avesse nella stessa capitale dell’ impero tribunali e giudici propri che giudicassero senza appello fino alla sentenza di morte inclusivamente, e che tale giudizio si facesse in pubblico, ed in pubblico si eseguisse? chi potrà credere che quei vecchi venerandi costituiti dal popolo giudici, mentre siedevano sul tribunale circondati dal rispetto del popolo, si lasciassero interrogare da un fanciullo il quale non aveva da far nulla in quell’affare? Ma non basta ancora, il popolo avrebbe lasciato insultare impunemente da un fanciullo i suoi giudici perfino sullo stesso loro tribunale, i giudici avrebbero chiamato il fanciullo in mezzo di loro e si sarebbero da esso lasciati condannare alla morte, il popolo avrebbe eseguita la sentenza del fanciullo, ed avrebbe ucciso i suoi giudici. Se i cinquantatrè voglion credere tali cose, buon prò loro faccia, ma nessun uomo ragionevole potrà crederle.

Due sole osservazioni presenteremo sul libro di Tobia dichiarato canonico dai cinquantatrè di Trento. Nel cap. III vers. 7, si dice che Sara abitava in Rages di Media, ove ancora abitava Gabelo debitore di Tobia: ma l’ autore di quel libro, dimenticando quello che avea detto nel cap. III, dice nel cap. IX che Tobia il giovine giunto a Rages presso di Sara pregò l’ Angelo che andasse fino a Rages in cerca di Gabelo.

L’ altra osservazione su questo libro è una solennissima bugia che l’ autore di quel libro fa dire all’ Angelo. L’ angelo Raffaele richiesto quale fosse il suo nome e la sua prosapia, risponde: “Io sono Azaria, figliuolo del grande Anania.” Ora domandiamo ai cinquantatrè di Trento: Sta egli bene dichiarare canonico un libro nel quale mentiscono perfino gli Angeli?

Dal libro di Tobia passiamo a quello di Giuditta. In primo luogo tutto il libro non è che l’ elogio della immoralità e del tradimento. Ma per ammettere come canonico e divino quel libro, bisognerebbe rovesciare tutte le nozioni le più certe di storia o di cronologia. La storia di Giuditta si dice accaduta poco dopo il ritorno della schiavitù di Babilonia (cap. V, vers. 22 e 23); ma nel cap. V di quel libro si dice che Nebucadnesar re degli Assiri, l’ anno avanti quella spedizione contro Betulia, avea debellato Arfaxat re dei Medi, il quale avea edificato Ecbatana. Ora questi fatti sono in aperta contradizione fra loro. Ognuno che non sia affatto novizio nella storia sa che, quando il popolo Ebreo ritornò dalla schiavitù di Babilonia, la monarchia degli Assiri era stata distrutta e riunita a quella dei Persiani, e Ciro non già Nebucadnesar era il re dei Persiani Medi ed Assiri riuniti in una sola monarchia. Questo libro dunque contiene falsità manifeste.

Per sciogliere queste difficoltà, i teologi romani si dànno molta pena. Il Lirano e Giovanni Driedo dicono che la storia di Giuditta accadde invero dopo il ritorno della schiavitù, ma quello che è chiamato Nebucadnesar non era che Cambise. Ma quei reverendi non hanno riflettuto che ai tempi di Cambise il tempio non esisteva, e nel cap. IV del libro di Giuditta è detto che gli Ebrei tremavano per la paura che Oloferne distruggesse il tempio del Signore. Inoltre nello stesso cap. IV è detto che gli Ebrei fecero circondare in quell’occasione di forti mura tutte le città e tutti i villaggi della Samaria fino a Gerico. Ma, oltre la inverosimiglianza che gli Ebrei tornati allora miserabili dalla schiavitù avessero potuto fare una spesa così colossale e sotto gli occhi di un potentissimo esercito avessero potuto in pochissimo tempo fare un lavoro così gigantesco, quei teologi potranno trovare una smentita alla loro asserzione in un libro canonico. Nel cap. IV del libro di Esdra, è detto che ai tempi di Cambise, la Samaria era ancora pacificamente abitata dai Gentili; dunque non era in potere degli Ebrei, dunque non potevano circondarla di mura. Di più quell’Arfaxat che pugnò con Nebucadnesar, che si vuole essere stato Cambise, era quello che avea edificato Ecbatana; ma Erodoto ci assicura che Ecbatana fu edificata da Diocle V re de’ Medi, che visse molto tempo prima di Cambise; dunque quel Nebucadnesar non era Cambise. Arrogi che il nome di Nebucadnesar non si è mai dato ai re di Persia, ma solo ai monarchi Babilonesi. Finalmente il Nebucadnesar del libro di Giuditta regnava in Ninive, e Ninive ai tempi di Cambise era da lungo tempo distrutta.

Altri teologi han detto che la storia di Giuditta accadde prima della schiavitù ai tempi di Sedicia o di Giosia. Ma nel cap. V del libro di Giuditta vers. 23, si dice chiaramente che gli Ebrei erano ritornati dalla schiavitù, e che possedevano di nuovo Gerusalemme ed il tempio. Impossibile dunque con tutte le risposte dei teologi romani conciliare le risposte di quel libro.

Pochissime cose diremo sui libri dei Maccabei. I cinquantatrè dichiarando quei libri canonici, li hanno dichiarati divini: or ecco cosa dice l’autore di quei libri alla fine di essi: “Anch’ io finirò qui il mio ragionamento; e se pure ho scritto bene e dicevolmente alla storia, tale certo è stato il mio desiderio; ma se ho fatto scarsamente e mediocremente, questo è quanto ho potuto, e mi si può ben perdonare. Perciocchè siccome il bere vin da parte ed acqua da parte è cosa spiacevole, ma il vino temperato con acqua fa la grazia del bere soave; così anche lo stile temperato dà diletto agli orecchi di quelli che si avvengono a leggere la storia.” I Protestanti domandano se Iddio può parlare a questo modo, se Egli può domandare perdono agli uomini dei suoi errori?

L’ autore di questi libri si mostra molto ignorante nella storia così sacra come profana. Circa la storia sacra, egli dice nel libro II cap. II che il profeta Geremia nascose l’ Arca in una spelonca insieme con l’ altare dall’ incenso, e disse che si sarebbe ritrovata quando il popolo sarebbe tornato dalla schiavitù; ma questo fatto è contradetto dalla storia e dallo stesso profeta Geremia, il quale nel cap. III della sua profezia dice che l’ Arca del Signore non sarebbe stata nemmeno più cercata.

Nel libro primo dei Maccabei, al cap. XII è riportata una lettera scritta, dal sommo sacerdote Gionata agli Spartani, in risposta ad una lettera del re di Sparta ai Giudei; il re di Sparta che scrive quella lettera si chiama Ario, il sommo sacerdote a cui è scritta si chiama Onia; ora, confrontando le storie greche con la storia giudaica, troviamo che Ario era re di Sparta ottant’ anni prima che Onia fosse sommo sacerdote dei Giudei. Ma sono tali e tanti gli errori di cui sono pieni quei libri che sembra impossibile che essi sieno stati scritti da un uomo ragionevole. La morte di Giuda, a cagion d’esempio è raccontata al vers. 19 del cap. IX del primo libro: egli fu ucciso sul campo di battaglia nel primo mese dell’ anno 152, ma nel cap. I del libro secondo lo stesso Giuda morto nel 152; scrive una lettera agli Ebrei che dimoravano in Egitto nell’ anno 188, cioè trentasei anni dopo che era morto.

Secondo l’autore di quei libri, Antioco è morto tre volte in tre diversi luoghi e di tre diverse morti. Muore la prima volta in Persia e muore di tristezza nel suo letto, e questa sua prima morte è descritta minutamente nel primo libro dei Maccabei al cap. VI. Muore la seconda volta in Perside nel tempio di Nanea e muore lapidato e fatto in pezzi dai sacerdoti di quel tempio, e questa sua seconda morte è descritta nel libro secondo cap. I. Finalmente muore la terza volta nelle montagne di Ecbatana e muore mangiato dai vermi, e questa terza morte è descritta minutamente nel libro secondo cap. IX.

Ecco in breve il perché i Protestanti non vogliono ammettere la canonicità di quei libri; hanno essi ragione? hanno essi torto? Il pubblico ne giudichi. Sembra però chiaro che i preti han torto evidente quando dicono che i Protestanti hanno mutilato la Bibbia, perché non vogliono ricevere quei libri. Sembra che i Protestanti abbian ragione quando dicono che i preti, aggiungendo quei libri alla Bibbia e dichiarandoli Parola di Dio, han date le armi in mano ai filosofi onde burlarsi della Bibbia. Quando si fa Dio autore di tali errori, si oltraggia la religione e il buon senso.

Luigi De Sanctis (1882).


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[Bibliografia]
Autore: Luigi De Sanctis;
Titolo: Roma Papale descritta in una serie di lettere con note; (da pag. 452 a pag.464)
Casa editrice: Tipografia Claudiana;
Località: Roma - Firenze;
Edizione: Terza edizione;
Anno: 1882.


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